Le PMI crescono grazie all’utilizzo della Firma Elettronica

firma elettronica

La Firma Elettronica si impone tra le imprese italiane che vogliono restare altamente competitive, questo a causa della necessità di innovazione.

La trasformazione digitale rende imprenditori, liberi professionisti e piccole e medie imprese attente alla costante ricerca di soluzioni che migliorano i processi lavorativi.

La Firma Elettronica e il rapporto con le PMI

La Firma Elettronica si conferma uno tra gli strumenti più efficaci per l’ottenimento di risultati positivi in termini di competitività. Si tratta di una firma, chiaramente digitale, che ha il medesimo valore legale della firma autografa e garantisce sicurezza e autenticità dei documenti informatici sottoscritti e trasmessi tramite mail.

Come detto, la firma digitale è dunque l’equivalente di una firma autografa apposta tradizionalmente su carta. Possiede autenticità, integrità e ha piena validità legale. Risulta utile nella sottoscrizione di documenti inviati via e-mail o altri servizi di messaggistica alla Pubblica Amministrazione.

Il servizio di firma digitale consente di avere il certificato di autenticazione CNS, acronimo di Carta Nazionale dei Servizi, che permette l’accesso ai servizi online della PA.

Quanto viene utilizzata

Le Piccole e Medie imprese italiane hanno colto profondamente i vantaggi legati all’utilizzo della Firma Elettronica, essendo uno strumento che consente di interloquire con tutte le realtà, supportando la trasformazione digitale.

Il 74% delle aziende ha adottato almeno una tecnologia di Firma Elettronica. Il 17% la utilizza almeno una volta al giorno, il 22% una volta a settimana e il 34% una volta al mese. Il settore bancario e assicurativo sono in cima alla lista di coloro che lo sfruttano maggiormente.

Circa il 75% delle aziende sono alla ricerca di nuove soluzioni che ne migliorino il lavoro quotidiano.

La Firma Elettronica viene utilizzata principalmente nella gestione delle risorse umane per la compilazione di moduli fiscali (24%), per firmare contratti, referti, moduli, fatture, atti, convenzioni, etc. (19%). Nell’area marketing e vendite per la stipulazione di contratti con i clienti e gli utenti di servizi (16%). Nei rapporti con le banche per l’apertura e gestione del conto (12%) e, infine, nella finanza per la documentazione relativa alla contabilità (12%).

Appare chiaro che l’utilizzo della Firma Elettronica si impone con forza tra le imprese italiane propense all’adozione di nuove soluzioni, orientate all’utilizzo di strumenti digitali.

Legge di delegazione europea: tutte le novità su lavoro e tirocinio

legge europea

È stata pubblicata, in Gazzetta Ufficiale il 17 gennaio 2022, la Legge europea n. 238 2021. Fa riferimento al recepimento della normativa comunitaria e adeguamento per sanare procedure di infrazione su aspetti delle leggi italiane che si allontanavano dalle direttive europee.

Si tratta di diritto dei lavoratori, di prestazioni sociali a cittadini extracomunitari, di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali e di validità dei tirocini.

Eccole nel dettaglio.

La Legge europea e la libera circolazione dei lavoratori

La legge di delegazione europea come detto, interviene sulle normative vigenti per modificare e intervenire su problematiche esistenti. Nell’articolo 1 si lavora per contrastare la direttiva n. 2014/54/UE1 sull’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione.

Le disposizioni delegano l’Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali (UNAR) per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, fondate sulla nazionalità.

Riconoscimento figure professionali e tirocini

Proseguendo nell’analisi del testo, l’articolo 4 tratta del riconoscimento delle qualifiche professionali. Le novità sono relative al riconoscimento delle qualifiche, dei tirocini professionali effettuati al di fuori del territorio nazionali. Non si fa riferimento solo ai cittadini italiani, ma anche a tutti gli altri cittadini degli Stati membri dell’Unione europea residenti in Italia.

Nel suddetto articolo si modifica, inoltre, il comma 1, secondo il quale anche il nostro ordinamento si instaura il divieto di esigere da un prestatore di servizio un anno di esercizio della professione nello Stato d’origine. La direttiva infatti  stabilisce i casi in cui gli Stati membri non possono limitare, per ragioni attinenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione.

Assistenza sociale stranieri, l’articolo 41

Infine, appare di particolare interesse la modifica apportata all’articolo 41 del testo unico immigrazione del D.Lgs. n. 288/1998, che vede l’aggiunta di due commi.

Stando al vecchio testo, difatti, l’articolo 41 subordinava l’estensione ai cittadini extracomunitari delle provvidenze concesse a titolo di assistenza sociale, al possesso di un permesso di soggiorno purché di durata non inferiore a un anno. Seguendo tale norma è capitato che l’INPS negasse la concessione di prestazioni, come l’assegno di natalità o maternità.

Nell’articolo 12, invece, sono ammesse parità di trattamento anche verso i cittadini extracomunitari, ammessi in uno Stato membro per motivi di lavoro a norma del diritto dell’Unione.

Pertanto, dopo le modifiche approvate con la legge europea, la equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle prestazioni in materia di sicurezza sociale si applica:

  • a tutti i titolari di permesso unico lavoro;
  • ai titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio che svolgano un’attività lavorativa o l’abbiano svolta per un periodo non inferiore a 6 mesi;
  • ai titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca.

Anche ai fini della fruizione delle prestazioni familiari sono ora equiparati ai cittadini italiani:

  • gli stranieri titolari di permesso unico lavoro autorizzati a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi;
  • gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare per un periodo superiore a 6 mesi.

Due diligence fiscale: di cosa si tratta

due diligence fiscale

Col termine due diligence fiscale si intendono le attività di verifica svolte da specifici advisor, solitamente in fasi di acquisizione societaria, per tutelare il potenziale acquirente da eventuali rischi fiscali latenti sulla società target.

Due diligence fiscale: cos’è

La due diligence fiscale è un’analisi che descrive la situazione dell’azienda in un dato momento della vita dell’impresa.

È un’indagine effettuata da professionisti esperti del settore, come dottori commercialisti o revisori fiscali, che ha come obiettivo quello di verificare le informazioni per valutare l’attività di un’azienda e la sua compliance alla normativa amministrativa e fiscale in vigore.

Può inoltre essere definita come un processo di natura valutativa che consente al soggetto acquirente di conoscere i punti di forza e di debolezza della società target.

In pratica, è il procedimento tramite il quale un imprenditore ha la facoltà di eseguire una verifica della compliance fiscale della società.

Tale attività è svolta come operazione propedeutica verso successivi processi di acquisizione di partecipazioni sociali, fusioni o scissioni, cessioni di azienda o affitti di azienda, etc.

L’attività di due diligence contabile e fiscale si conclude con la redazione di un documento finale denominato due diligence report.

Le diverse tipologie

Per poter una distinzione fra le diverse tipologie occorre distinguere tra:

  • momento di effettuazione della due diligence fiscale;
  • aree di intervento della due diligence fiscale;
  • soggetto che commissione la due diligence.

Quando si ricorre a due diligence fiscale

Nella prassi si utilizza tale attività nelle operazioni straordinarie in cui l’investitore ha bisogno di essere tutelato rispetto all’assunzione di rischi di natura fiscale sulla società target.

Può dunque essere utilizzata durante:

  • acquisizioni di aziende o di partecipazioni societarie;
  • fusioni e scissioni;
  • cessioni o affitto d’azienda;
  • quotazioni in borsa;
  • aumenti di capitale;
  • stipulazione di un contratto di joint venture.

Le due diligence non hanno una durata preimpostata. La durata dipende dalla quantità di informazioni da analizzare e dal livello di approfondimento della verifica. Una due diligence può proseguire anche a causa di potenziali difficoltà incontrate dall’advisor nel corso dell’attività di verifica.

Genericamente, ad ogni modo, si può affermare che tale attività ha una durata media che va dalle due alle sei settimane.

Registro delle imprese: che cos’è e a cosa serve

registro imprese

Il Registro delle imprese è un registro all’interno del quale sono iscritte le imprese italiane. Nasce nel 1993, sebbene sia ufficialmente entrato in azione nel 1996 con la Legge relativa al riordino delle Camere di Commercio e con il conseguente Regolamento di attuazione.

Registro delle imprese: di cosa si tratta

Il Registro delle imprese nasce con l’obiettivo di assicurare completezza e organicità della pubblicità legale per tutti i soggetti che risultano tenuti a iscriversi. Viene gestito dalle Camere di commercio, tramite la rete informatica e telematica di Infocamere.

Rispetto al lontano 1996 appare evidente che il sistema informativo del sistema camerale abbia subito una dematerializzazione inevitabile, dovuta ai processi di evoluzione digitale.

Ad oggi, dunque, il Registro imprese è un registro pubblico informatico. Tale registro, secondo la Legge delle Camere di Commercio presenta le seguenti caratteristiche:

  • ha competenza provinciale;
  • è gestito secondo tecniche informatiche;
  • la sua tenuta è affidata alla locale Camera di Commercio, sotto la vigilanza di un Giudice, delegato dal Presidente del Tribunale del capoluogo di Provincia;
  • è retto da un Conservatore nominato dalla giunta nella persona del Segretario Generale ovvero di un dirigente della Camera di Commercio che assicura la corretta tenuta del Registro Imprese in osservanza delle disposizioni in materia e delle decisioni del Giudice del Registro.

Pertanto il documento viene definito l’anagrafe delle imprese, proprio perché al suo interno sono presenti dati quali la costituzione, modifica e cessazione delle imprese con qualsiasi forma giuridica e settore di attività economica su tutto il territorio nazionale.

Cosa contiene

Questo contiene tutte le principali informazioni relative alle imprese:

  • denominazione;
  • statuto;
  • amministratori;
  • sede.

Presenta, inoltre, tutti gli eventi, successivi all’iscrizione, che hanno interessato l’azienda, come le modifiche dello statuto, o delle cariche sociali, trasferimenti di sede, liquidazioni, proceduro concorsuali, liquidazioni.

Ciò lo porta ad essere definito come un archivio per l’elaborazione di indicatori di sviluppo economico e imprenditoriale.

Funzioni principali del Registro imprese

Una delle funzioni principali è la fornitura di pubblicità legale degli atti in esso iscritti.

Questa si suddivide in:

  • costitutiva, nel caso in cui l’iscrizione di un determinato atto nel Registro è requisito necessario ed indispensabile affinché l’atto produca i propri effetti giuridici tra le parti;
  • dichiarativa, qualora l’iscrizione nel Registro renda opponibile ai terzi l’atto del quale è stata data pubblicità, prescindendo dalla effettiva conoscenza che i terzi ne abbiano;
  • notizia, qualora l’iscrizione nel Registro ha una finalità di certificazione anagrafica e di informazione del pubblico.

Il principale obiettivo del Registro delle imprese è  raccogliere dati e documenti dei soggetti tenuti all’iscrizione presso il registro delle Imprese, e di rilasciare certificati e visure.

Come iscriversi

Per iscriversi è necessario presentare la domanda e attendere l’iscrizione e l’assegnazione del numero di iscrizione al registro.

Inoltre occorre presentare la Comunicazione Unica d’Impresa alla Camera di Commercio competente per la provincia in cui si trova l’impresa. La Comunicazione Unica deve essere inviata per via telematica a mezzo Pec.

DURC: cos’è, dove si richiede e cosa contiene

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Il DURC, documento unico di regolarità contributiva, è un attestato che prova la regolarità contributiva di un’azienda verso l’INPS, l’INAIL e la Cassa Edile. Nello specifico, il DURC è finalizzato alla repressione del lavoro in nero e delle irregolarità assicurative e contributive.

Cos’è il DURC

Il DURC, noto come Documento unico di regolarità contributiva, è il documento che attesta il rispetto di pagamenti e adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi di un’azienda.

Come già accennato, il DURC consente di verificare l’adempimento dei contributi diretti all’INPS e INAIL. Nel caso di imprese che applicano contratti nel settore edilizio, anche per le Casse edili.

Dal 1° luglio 2015, con l’entrata in vigore del decreto ministeriale 30 gennaio 2015, la verifica avviene con modalità telematiche e con il rilascio del DURC online con validità di 120 giorni dalla richiesta.

Chi deve richiedere obbligatoriamente il DURC

I soggetti obbligati a richiedere il DURC sono, anzitutto, datori di lavoro e lavoratori autonomi per tutti gli appalti pubblici. I datori di lavoro, nello specifico, devono richiedere il certificato per la fruizione dei benefici normativi e contributivi. La richiesta va fatta anche ai fini della fruizione dei benefici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria.

Il possesso del DURC è obbligatorio anche nel caso di lavori di edilizia privata, soggetti a DIA o SCIA (vale anche per le imprese straniere).

Lo devono richiedere gli esercenti di attività di commercio su aree pubbliche e, infine, anche le aziende agricole con dipendenti e lavoratori autonomi del settore dell’agricoltura.

Chi rilascia la certificazione

Gli senti tenuti al rilascio del DURC sono l’INPS, l’INAIL, le Casse edili e tutti gli istituti che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, sempre previa convenzione con INPS e INAIL.

Cosa contiene

Il documento deve contenere:

  • denominazione o ragione sociale, sede legale e unità operativa, codice fiscale del datore di lavoro;
  • iscrizione agli istituti previdenziali e alle Casse edili (ove previsto);
  • dichiarazione di regolarità ovvero di non regolarità contributiva, con indicazione della motivazione o della specifica scopertura;
  • data di effettuazione della verifica di regolarità con- tributiva;
  • data di rilascio del documento;
  • nominativo del responsabile del procedimento.

 Il documento viene emesso entro il termine di trenta giorni dalla richiesta, ma rimane sospeso nel caso previsto dall’art. 7 dello stesso decreto.

Quando non è necessario il DURC

Tale documento non è obbligatorio per tutti i soggetti che restano esclusi dall’elenco di cui sopra e nei rapporti tra privati, se non quando le prestazioni riguardano lavori edili che devono essere autorizzati.

La detraibilità dell’IVA prima dell’inizio dell’attività: come funziona

detraibilità dell'iva

Aprire un’attività è un’operazione che comporta un dispendio energetico, ed economico, da non sottovalutare. Tuttavia, è bene sapere che tutti gli acquisti effettuati nel periodo preparatorio all’inizio dell’attività godono della detraibilità dell’IVA, anche nel caso in cui non vi siano ricavi. Sono, però, necessari alcuni requisiti e, ovviamente, non devono essere presenti finalità abusive. Ecco come funziona la detraibilità dell’IVA.

L’IVA e la sua detraibilità

L’IVA, nota come Imposta sul Valore Aggiunto, è l’imposta destinata al consumatore finale. Nel caso in cui si tratti di soggetti economici e titolari di partita IVA, l’IVA è neutrale. Ciò accade poiché tramite il sistema della detrazione e della rivalsa questi soggetti detraggono l’IVA sugli acquisti e l’addebitano sulle cessioni. La differenza tra l’ammontare dell’IVA sugli acquisti e l’ammontare dell’IVA sulle vendite dà vita a un debito IVA da versare all’erario.

In merito, ha una connotazione particolare la questione relativa, appunto, alla detraibilità dell’IVA prima dell’inizio dell’attività, quando dunque sono assenti le operazioni attive.

È doveroso specificare che non si tratta di una situazione rara. Difatti, per un’impresa commerciale è necessario sostenere dei cospicui investimenti proprio prima dell’inizio dell’attività. Può, infatti, capitare, che un’impresa, dopo aver sostenuto una parte degli investimenti preparatori decida di non avviare mai l’attività economica. Tale decisione è presa nel caso in cui si ritenga che non vi siano le condizioni. In questi casi, il naturale meccanismo di detrazione e rivalsa, che caratterizza l’IVA, viene a mancare di una delle due parti; e il contribuente, detraendo senza addebitare, genera un credito nei confronti dell’erario. 

Con il tempo però la giurisprudenza di legittimità si è consolidata su un diverso orientamento, supportata dalla posizione assunta dalla Corte di Giustizia UE in più occasioni: di ciò si è occupata la recente ordinanza della Corte di Cassazione numero 39684, pubblicata il 13 dicembre 2021, che ha il pregio di riepilogare i punti di vista della giurisprudenza (italiana ed europea) sul tema.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte rileva come La Corte di Giustizia abbia stabilito che “chi ha l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un’attività economica e sostiene a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo. In quanto agisca come tale, egli ha quindi il diritto di detrarre immediatamente l’IVA dovuta o pagata sulle spese d’investimento sostenute in vista delle operazioni che intende effettuare e che danno diritto alla detrazione, senza dover aspettare l’inizio dell’esercizio effettivo della sua impresa”. “Altrimenti, si determinerebbe una violazione del principio di neutralità dell’imposta”. Va tenuto in considerazione che non è “sufficiente un’intenzione che si articoli sul piano meramente soggettivo o dei propositi: occorre pur sempre che l’intenzione sia confermata da elementi oggettivi e non sia contrassegnata da finalità fraudolente o abusive”.

Come ottenere la detraibilità dell’IVA

Affinché un soggetto possa godere della detraibilità dell’IVA, nel periodo preparatorio all’inizio dell’attività, è necessario rispettare alcuni requisiti.

Primo tra tutti: il bene o il servizio dal quale si desidera detrarre l’imposta dev’essere necessario che il bene o il servizio, del quale si detrae l’imposta, sia necessario all’organizzazione imprenditoriale o funzionale all’attività economica programmata.

Inoltre, il mancato utilizzo del bene dev’essere determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente.

Queste situazioni devono realizzarsi nel momento in cui è effettuata la detrazione dell’imposta.

Grazie al principio di neutralità dell’imposta e all’interpretazione assunta dalla Corte di Giustizia UE, così come recepita dalla giurisprudenza di legittimità italiana, e ormai anche dalla prassi, il diritto alla detrazione dell’IVA è salvaguardato, a prescindere dall’effettiva successiva realizzazione dei ricavi, purché la detrazione avvenga nel rispetto di un generale principio di buonafede del contribuente, in assenza di “finalità fraudolente o abusive”.